Il fenomeno delle fumarole e dei rifiuti interrati in Sicilia. Basta più terre dei fuochi
- Menzione speciale
- Anno scolastico 2023-2024
- Presentato da ITCG Enrico Fermi, Vittoria (Ragusa)
Da diversi decenni nella fascia costiera del Ragusano si consumano roghi che appestano l'aria e creano paura tra le popolazioni, che lamentano crescenti problemi di salute legati soprattutto a difficoltà respiratorie, bruciore agli occhi e alla gola.
Il fenomeno dei roghi (o fumarole come vengono definite in provincia di Ragusa) si fa più intenso in primavera ed estate quando, finita la produzione, si procede con la rimozione di tutti gli scarti della coltivazione degli ortaggi in serra che, oltre al materiale vegetale, contengono fili e ganci in plastica, teli per pacciamatura, onduline e manichette, oltre a bidoni con residui di pesticidi e diserbanti.
La nostra indagine ha rilevato che il problema è principalmente di natura economica, politica e culturale e necessita di un approccio che insista sulla prevenzione e sullo sviluppo di un nuovo clima culturale che faccia comprendere agli agricoltori che ogni azione individuale ha conseguenze anche a livello sociale.
3 A AFM
Scarica il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva
Da diversi decenni nella fascia costiera del Ragusano, soprattutto tra i comuni di Vittoria, Acate e Santa Croce Camarina, si consumano roghi che appestano l'aria e creano paura tra le popolazioni. Si tratta di una fetta consistente di territorio dove sono concentrate le produzioni di ortaggi in serra e definita zona trasformata. Le popolazioni lamentano crescenti problemi di salute legati soprattutto a difficoltà respiratorie, bruciore agli occhi e alla gola. Il fenomeno dei roghi (o fumarole come vengono definite in provincia di Ragusa) si fa più intenso in primavera ed estate quando, finita la produzione, si procede con la rimozione di tutti gli scarti. Tra questi ci sono pure rifiuti speciali, come la plastica dismessa dalle serre, i flaconi intrisi di sostanze tossiche (soprattutto pesticidi) e polistirolo che andrebbero invece conferiti a ditte specializzate nello smaltimento. Inoltre, c'è il forte sospetto che dietro questi roghi ci possa essere anche la mano della criminalità organizzata che approfitterebbe di questo stato di "anarchia" per bruciare altri tipi di sostanze ancora più nocive e inquinanti, provenienti dagli scarti delle industrie di altre regioni.
Gli imprenditori agricoli da parte loro, man mano che prendono coscienza di commettere un reato ambientale, tendono a giustificarsi in virtù del fatto che non esistono ditte specializzate in zona per lo smaltimento e che comunque i costi sarebbero eccessivi per le loro possibilità economiche e per questo avanzano richieste di contributi. Ma non per questo demordono. Anzi continuano a comportarsi come hanno sempre fatto anche perché la manodopera stagionale utilizzata non è adeguatamente formata sulla sicurezza del lavoro per cui spesso si gioca sull'ignoranza per alimentare questi comportamenti.
I controlli da parte delle forze dell'ordine, a causa della carenza di personale, sono scarsi e comunque insufficienti anche perché questi reati si consumano solitamente di notte e nelle prime ore dell'alba e cioè quando ci sono meno pattuglie in giro.
Tra le popolazioni il malcontento cresce sempre di più e l'unico modo per evitare di respirare queste sostanze nocive è di rimanere tappati in casa.
Tra i giovani, e quindi anche tra gli studenti, c'è troppa poca attenzione verso questo problema. Molti di loro sono però figli di imprenditori agricoli, ragazzi che, una volta completati gli studi, potrebbero succedere ai loro genitori nella gestione delle aziende. E senza una presa di coscienza il rischio che possano comportarsi come i loro genitori è forte. Diventa, quindi, importante e improcrastinabile una presa di coscienza collettiva della gravità della situazione per un cambiamento culturale e mentale.
Tutto questo però individuando soluzioni concrete per evitare di produrre leggi che poi, per difficoltà "oggettive", non trovano applicazione. Soprattutto secondo le associazioni ambientaliste questo tipo di problematica si può risolvere soltanto attraverso un approccio integrale che prevede la collaborazione di tutti gli attori presenti sul territorio non solo attraverso la repressione ma anche la prevenzione. In sostanza propongono di indagare sul fenomeno e sulle cause e di individuare soluzioni per la tutela della salute dei produttori e delle comunità locali e nel contempo evitare di far vivere nella perenne illegalità le aziende agricole coinvolte
Il lavoro da sviluppare prevede propedeuticamente una indagine conoscitiva da condurre tramite interviste in famiglia, agli imprenditori e ai piccoli produttori (ovviamente tutelando le fonti) e ricerche online. Seguiranno poi momenti di confronto con esperti, associazioni ambientaliste, sindacati ed amministratori pubblici che da tempo seguono questo fenomeno per vedere cosa propongono per debellarlo e poter quindi riportare i produttori nella legalità.
Solo dopo aver approfondito ogni singolo aspetto e messo a confronto tutti i dati acquisiti, gli studenti potranno passare alla fase propositiva.
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CONCORSO SENATO AMBIENTE
COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INDAGINE CONOSCITIVA
“IL FENOMENO DELLE FUMAROLE E DEI RIFIUTI INTERRATI NEL SUD EST IN SICILIA”
Basta più terre dei fuochi
Anno 2024
CLASSE III A – Amministrazione, finanza e marketing
ISTITUTO ISTRUZIONE SUPERIORE “E. FERMI” DI VITTORIA (RG)
Anno scolastico 2023/24
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Il fenomeno delle fumarole risale agli anni Sessanta del secolo scorso quando, a Vittoria, in provincia
di Ragusa, ebbe inizio una rivoluzione agricola legata alla coltivazione degli ortaggi in serra e che, in
poco tempo, si estese in tutta la zona del sud est della Sicilia. Una rivoluzione che portò ricchezza e
prosperità, e non solo agli agricoltori, in quella che venne da subito definita “zona trasformata”. Il
pomodoro divenne “l’oro rosso” per eccellenza e il bisogno di braccianti richiamò mano d’opera
anche dai Paesi dell’Africa che si affacciano sul mare Mediterraneo e che a poco a poco si emancipò
assumendo la condizione di piccoli produttori.
Purtroppo quando un evento di così grandi dimensioni (anche perché incominciò uno sfruttamento
intensivo della terra che portò ad un superamento dell’annata agraria ed a un conseguente ciclo
continuo della produzione inserendo anche altre varietà e altri tipi di ortaggi) non viene saputo
gestire e normato, non mancarono sin da subito pure le conseguenze negative causate appunto dai
roghi dove si bruciava e si continua a bruciare di tutto. E così si cominciò a parlare di fumarole e di
emissioni di diossina.
Se prima il disagio, che pure esisteva, verso le fumarole veniva “soffocato” in nome del lavoro e
dello sviluppo economico, negli anni e in virtù di una sempre maggiore attenzione verso l’ambiente,
grazie anche all’azione di sensibilizzazione portata avanti da diverse associazioni, si è assistito ad un
crescendo bisogno di tutelare anche la salute e gli stessi prodotti che poi vanno a finire nelle nostre
tavole. E questo soprattutto da quando, con il passare del tempo, si cominciò a notare un certo
collegamento tra fumarole e bruciore agli occhi e alla gola, difficoltà respiratorie e, più di recente,
anche ad un aumento preoccupante di casi di tumori di diverse tipologie.
Ovviamente, non esistendo studi e dati e quindi un registro sui tumori, tutto rimane ancora a livello
teorico.
Diverse le proposte avanzate negli ultimi anni attraverso incontri, convegni e tavoli tecnici in
prefettura, per cercare di contrastare il fenomeno, ma tutto si ferma al semplice dibattito dove
ognuno sembra recitare la propria parte che difficilmente coincide con le altre. Insomma sembra
non esserci soluzione di continuità verso questo gravissimo misfatto ambientale e su come porvi
rimedio.
Le conseguenze, infatti, a livello di inquinamento dell’aria e del suolo (e forse ormai anche delle
stesse falde acquifere) sono note a tutti seppur non siano state mai eseguite analisi né si sia mai
proceduto con l’istallazione di colonnine di rilevamento a causa di un incredibile e inconcepibile
rimpallo di competenze tra l’Arpa (che tra l’altro in Sicilia è in forte sofferenza per carenza di fondi,
i Comuni e il Libero consorzio di Ragusa (le ex province).
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A rendere difficile la soluzione del fenomeno ci sono diversi aspetti.
Intanto la mancanza di discariche e/o centri di stoccaggio sia pubblici che privati dove conferire e
smaltire alcune tipologie di rifiuti. È importante infatti sottolineare che assieme alla fratta (che è
materiale vegetale), contengono fili e ganci in plastica che vengono utilizzati per legare il pomodoro
ai pali e far crescere la pianta in altezza. Purtroppo non venendo separati diventano rifiuti pericolosi
se poi vengono bruciati.
È giusto inoltre ricordare che quasi sempre nei roghi si trovano pure contenitori di polistirolo,
plastica nera (pacciamatura), ondulina (plastica dura) e manichette (tubi per irrigare), bidoni in
plastica che contengono residui di pesticidi, diserbanti e chissà che altro ancora, compresi rifiuti
urbani abbandonati nelle campagne da parte di chi si ostina a non differenziare e che alimentano
un altro fenomeno ancora che è quello delle discariche abusive. Tutto questo ovviamente perché gli
agricoltori, ritenendosi furbi, preferiscono sbarazzarsene in un’unica soluzione (attraverso un
grande falò) invece di doverli portare nei diversi centri o pagare qualcuno perché lo faccia per loro.
Come se non bastasse, secondo quanto sostiene il Sindaco di Vittoria, c’è pure il forte sospetto che
in certe situazioni dietro questi roghi ci possa essere anche la malavita organizzata e/o mafia per
“smaltire” altri tipi di rifiuti speciali e forse ancor più pericolosi. Sotto questo punto di vista i riflettori
sono puntati su un’azienda specializzata in rifiuti pericolosi ubicata ai confini tra i comuni di Vittoria
e Comiso ed oggi sotto sequestro su cui indaga la magistratura.
Volendo però concentrarci solo alle “classiche” fumarole causate dagli scarti agricoli e dalla plastica
nera, e quindi tralasciando tutti gli altri tipi di materiali e altri possibili scenari che potrebbero starci
dietro, ma che aiuterebbero forse a correggere poi almeno qualche distorsione, il problema a monte
è che gli scarti vegetali (la fratta), i fili e i ganci per poter essere conferiti vanno necessariamente
divisi. Ad essere ancora più precisi, mentre le parti in plastica andrebbero smaltiti come rifiuti, la
fratta potrebbe essere recuperata come:
- concimante, previa caratterizzazione e triturazione, per rendere fertili i terreni (ovviamente
accompagnata da relazione tecnica redatta da un tecnico abilitato),
- utilizzata per produrre energia (sempre dietro relazione di un tecnico abilitato o iscritto all’albo)
- conferita nei centri di compostaggio o in discariche pubbliche.
La plastica nera invece, ed è questo l’altro grave problema a monte, andrebbe prima lavata e pulita.
Ma anche rispettando queste prescrizioni è comunque difficile da conferire perché, diversamente
da quella bianca, che vale oro, viene pagata appena due centesimi al kg e le aziende che si occupano
del recupero non sono disposte a prendersela. Questo avviene perché si è creato una sorta di
mercato parallelo abusivo con persone che, pur di accaparrarsi questa fetta di mercato, ritirano
spontaneamente la plastica bianca (ma non quella nera), togliendola addirittura direttamente dalle
serre, così che anche il produttore risparmia sulla manodopera. Le aziende in regola, da parte loro,
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si rifiutano quindi di ritirare solo quella nera, attivando una sorta di ritorsione, proprio perché i
profitti sono irrisori. Anche in questo caso per “smaltirla” si brucia o si interra.
Infatti, quando questi diversi materiali non finiscono in cenere, succede pure che vengono interrati
e/o abbandonati lungo il litorale che, essendo sabbioso, finiscono con il creare dune ovviamente
artificiali. L’aggravante è che poi, quando le dune coinvolgono chilometri e chilometri di costa, quasi
mai si interviene per bonificare perché mancano le risorse finanziarie e forse, non volendo pensare
a giri poco chiari, il senso del dovere nel seguire l’iter.
Il sindaco di Acate, attraverso una lettera inviata al ministro dell’ambiente Pichetto Frattin, ha fatto
tra l’altro presente che “il ritrovamento di plastica insabbiata e la formazione di dune di plastica che
poi si riversano a mare, la presenza cadenzata e costante delle fumarole, l’interramento della fratta
rappresentano i vari volti di un’emergenza a cui non possiamo e dobbiamo arrenderci”.
Con riferimento ad alcune delle normative esistenti e prese in esame si precisa quanto segue.
Gli scarti di tessuto vegetale provenienti dalla pulizia degli impianti serricoli sono definiti, ai sensi
dell’allegato D del D. Lgs n. 152/2006, rifiuti speciali non pericolosi e come tali dovrebbero essere
smaltiti. Il loro abbruciamento, senza preventiva autorizzazione, è un reato e quindi soggetto a
sanzioni penali (art. 256, comma1, lettera A o art. 256 bis).
Come ha riferito in audizione l’ispettore della Polizia provinciale “la quasi totalità delle aziende
continua invece a incendiare i propri rifiuti vegetali in loco, compreso il materiale plastico e i c.d.
leganti e le clips che dovrebbero essere preventivamente prelevati dalle piantine estirpate e smaltiti
come rifiuti mediante ditte autorizzate. Cosa che non viene quasi mai effettuata dagli agricoltori
perché i leganti sono talmente avviluppati con le piantine da rendere praticamente impossibile
l’operazione”.
L’art. 184 bis del citato D.L.vo n. 152/2006 prevede che per poter utilizzare le piantine e/o gli scarti
vegetali, estirpati dalle serre a fine ciclo, come sottoprodotto (e quindi non più come rifiuto) devono
essere depositati sul terreno e lasciati a maturare per circa quattro mesi, così da ottenere un
composto organico che, previa triturazione, si potrà poi utilizzare come concime. In alternativa
questa parte vegetale potrebbe andare a finire anche in discariche pubbliche o nei centri di
compostaggio.
(Purtroppo i due centri di compostaggio esistenti in provincia di Ragusa, quello di Cava dei modicani
non è sufficiente neanche a garantire il conferimento dell’organico dei 12 comuni iblei, mentre
quello realizzato a Vittoria diversi anni fa non è mai entrato in funzione perché, man mano che si
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procede con le prescrizioni, da parte della Regione ne spuntano sempre di nuove senza però
spiegare dove andare a reperire le risorse finanziarie.
Inoltre, anche se fosse funzionante, non potrebbe comunque garantire il conferimento di tutta la
fratta prodotta dalle aziende. Insomma, servirebbero altri centri di compostaggio che però non
fanno parte del programma della SRR di Ragusa).
In sintesi, ogni tipo di materiale proveniente dalla dismissione e pulizia degli impianti serricoli
potrebbe e dovrebbe essere smaltito e utilizzato per favorire un’economia circolare di riciclo
facendo del rifiuto una risorsa se solo ogni singolo agricoltore e gli enti competenti facessero il
proprio dovere fino in fondo.
I titolari d’azienda, che siano piccole, medie o grandi poco importa, non sembra abbiano voglia di
adeguarsi un po’ per ignoranza, ma soprattutto perché ogni fase per dividere gli scarti e le diverse
tipologie di rifiuti produce dei costi. Inoltre tutti i passaggi andrebbero certificati e non tutte le
aziende sono in regola. E questo rappresenta un altro problema ancora.
E siccome stiamo parlando di un fenomeno che coinvolge centinaia di miglia di aziende, qualcosa
deve pur cambiare se non si vuol morire di inquinamento.
I controlli e le denunce da parte delle forze dell’ordine quando non sono carenti, anche per scarsità
di personale, non producono comunque grandi risultati perchè il fenomeno è molto esteso e per
uno che viene colto in flaganza di reato, tanti altri la fanno franca. Inoltre i roghi si consumano quasi
sempre di notte o all’alba quando ci sono ancora meno pattuglie in giro.
In provincia di Ragusa, finanche in mondo cattolico ha preso posizione promuovendo momenti di
confronto allo scopo di sensibilizzare agricoltori e istituzioni sul rispetto del Creato e quindi
dell’ambiente.
Considerato quanto sopra e la vastità del fenomeno, oltre alla repressione serve necessariamente
la prevenzione, così da eliminare ogni forma di alibi agli agricoltori, e non ultimo favorire un nuovo
clima culturale che faccia comprendere in primis agli agricoltori che ogni azione individuale ha poi
conseguenze anche a livello sociale.
Secondo il Commissario del Libero consorzio di Ragusa la soluzione potrebbe essere quella di
collocare nelle campagne contenitori dove conferire le diverse tipologie di rifiuti. Anche seguendo
questa proposta rimane però da capire dove depositare la fratta con i leganti in plastica visto che gli
agricoltori si rifiutano di separarli e che non esistono discariche ad hoc.
In questo caso ad essere chiamate in causa sono anche le SRR che però sembrano assenti rispetto
alla problematica. Infatti, da quello che è emerso durante l’audizione con il Presidente della SRR di
Ragusa, ancora una volta dietro questi ritardi e/o mancanza di intervento ci sarebbe il solito conflitto
di competenze e la mancanza di risorse.
Altri propongono di utilizzare i droni pur coscienti, stranamente, che quasi sempre i roghi vengono
appiccati di notte o all’alba e in terreni abbandonati così che non si riesce quasi mai a risalire ai veri
responsabili.
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Per il vice Prefetto di Ragusa la soluzione del problema è di natura economica, politica e culturale.
La proposta è di dotare le aziende agricole di contenitori per gli scarti e per le diverse tipologie di
rifiuti e il ritiro dovrebbe avvenire in loco proprio come forma di controllo. Tutto questo non senza
censire anche le aziende gestite dai cd “invisibili” attraverso un incrocio di dati, per esempio con i
gestori di energia elettrica visto che ogni azienda, per poter lavorare, ha necessariamente bisogno
di un allaccio. I costi per questi ulteriori servizi che i Comuni andranno a sostenere potrebbero
essere recuperati, se solo ci fosse la volontà politica, aumentando la Tari e/o dal risparmio che si
produrrebbe dalla diminuzione delle discariche abusive che non si fa in tempo a bonificare che
subito ne sorgono di nuove. La bonifica infatti viene sempre pagata a parte perché non rientrante
nei capitolati d’appalto con le ditte che si occupano dei rifiuti urbani. Una cosa quest’ultima
alquanto discutibile perché potrebbe indurre qualche “avida” ditta di rifiuti a girarsi dall’altra parte
aspettando che un piccolo cumulo diventi una mega discarica.
Per l’associazione “Terre pulite”, che ha avviato anche una petizione popolare, il problema va
affrontato nel suo complesso e per questo, diversamente dalla politica e dalle istituzioni (che si
muovono guardando solo parti del fenomeno, proponendo poi ognuno la propria ricetta che, tra
l’altro, non trova applicazione), ha presentato un pacchetto di proposte che prevedono:
- La costruzione di centri comunali per raccolta fratta compostabile;
- Incentivi per acquisto tutori compostabili;
- La progettazione di un’app gratuita per smartphone per geo localizzare le aziende e fornire
informazioni su come smaltire i rifiuti serricoli;
- Installare isole ecologiche nelle zone rurali per un corretto smaltimento;
- Controllo delle aziende agricole da remoto, incrociando i dati di quelle iscritte alla CCIAA con
quelli del SIAN, dell’INPS, del Catasto e di AGEA;
- Ispezioni in azienda per verificare la separazione degli scarti e dei rifiuti e il loro avvenuto
smaltimento. Questi controlli dovrebbero permettere anche di far uscire dall’anonimato le
aziende fantasma, i lavoratori in nero e gli irregolari senza soggiorno di permesso;
- La verifica dei requisiti degli automezzi per il recupero dei rifiuti, tra cui l’iscrizione all’albo e il
possesso del certificato antimafia;
- Attivazione numero verde “No fumarole” per segnalazione roghi con foto e video garantendo
l’anonimato;
- Creazione di un gruppo di pronto intervento, costituito da Polizia locale e provinciale, Guardie
ambientali e Vigili del fuoco, che si attivi non appena arrivano segnalazioni al numero verde.
Da quello che è stato possibile capire, è doveroso ricordare che il problema dei rifiuti agricoli
non è solo siciliano né ragusano, ma riguarda anche altre Regioni d’Italia. Motivo per cui oltre
ai Governi regionali è chiamato in causa anche quello nazionale per esempio accelerando la
ricerca al fine di trovare alternative almeno all’uso plastica nera, inserendo questa specifica
tematica nei programmi scolastici, valutare anche forme di ristoro e/o finanziamento alle
aziende per invogliarle a rispettare la legge.
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Secondo quanto riportato nel rapporto di EIP Agri in Europa, la rete della Commissione Europea
per l’innovazione in agricoltura, “implementando gli schemi di raccolta e creando sui territori
nuove filiere di recupero e riciclo, la plastica può, non solo cessare di rappresentare un costo,
ma divenire una vera e propria risorsa. In economia circolare, per definire come un rifiuto possa
rientrare nel ciclo produttivo cessando di essere uno scarto e tornando ad essere una materia
prima, si parla di “materia prima seconda”.
Come si legge nella relazione del Consorzio ecopolietilene, autorizzato dal Ministero
dell’Ambiente e che si occupa di raccolta, recupero e smaltimento dei prodotti in polietilene
“Un rifiuto lo si recupera quando poi la materia prima seconda che si ricava può essere destinata
al mercato di trasformazione. Così da non essere più obbligati a portarlo in discarica o
all’incenerimento”
.
In Italia la raccolta e il riciclo stanno sicuramente aumentando e anche se “il valore della materia
prima raccolta non è alto, perché la plastica dismessa dall’agricoltore è spesso sporca,
deteriorata dagli agenti atmosferici o contaminata dai prodotti chimici, è comunque richiesta”.
Alcune filiere sono già attive, come nel caso dei tubi per l’irrigazione che utilizzano per la
produzione la stessa plastica raccolta dal riciclaggio dei tubi usati. Oppure dei teli per la
pacciamatura che si sono rivelati idonei per la produzione di sacchetti per la raccolta
differenziata nelle nostre case.
Quello che sicuramente in Sicilia servirebbe è far incontrare la domanda (le ditte che si
occupano di trasformazione della plastica) con l’offerta che dovrebbe venire da quanto
conferito dagli agricoltori. Vedi il caso Puglia dove con i teli di polietilene utilizzati nei vigneti,
grazie ad un progetto pilota portato avanti dal Consorzio, è stata creata una nuova materia
prima di plastica riciclabile che viene usata nell’edilizia.
Le nostre proposte come Commissione d’indagine del fenomeno da sottoporre al Parlamento.
Intanto bisogna subito procedere con uno studio dei luoghi per accertarsi se esistono diossina e
microplastiche e comunque verificare il grado di inquinamento dell’aria, del terreno e delle acque,
senza escludere pure un controllo sulla salubrità degli ortaggi.
Attivare subito un protocollo per il censimento dei tumori.
Inoltre (e questo almeno fino al superamento dell’emergenza), bisogna verificare se esiste la
possibilità e la volontà politica di contributi statali e/o regionali alle aziende. Ovviamente a
condizione che la filiera dei rifiuti sia tracciabile dal luogo di partenza fino al conferimento.
Contributi quindi che dovrebbero servire in primis per rendere obbligatorio l’acquisto di fili e clips
biodegradabili che allo stato attuale hanno costi eccessivi e poca resistenza. Insomma i famosi
ecoincentivi.
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In fondo con l’Ilva di Taranto i vari Governi che si sono succeduti sono intervenuti anche sul piano
economico. Non ci capisce quindi perché lo stesso non debba essere fatto nei confronti
dell’agricoltura, che solo in provincia di Ragusa da lavoro e sostentamento a centinaia di migliaia di
famiglie, e che può essere definita la più grande “industria” in Italia proprio per l’occupazione che
garantisce.
Serve pure che la politica, a qualunque livello, faccia la sua parte riconoscendo il problema,
affrontandolo e portandolo a soluzione, senza falsi alibi per paura di perdere consenso elettorale.
Serve creare anche una cabina di regia regionale permanente con rappresentanti, esperti e
competenti, di ogni provincia che raccolga informazioni, faccia da pungolo alla politica, favorisca la
ricerca attraverso convenzioni con enti e/o università e che si documenti sui sistemi adottati in altri
Stati.
Serve stilare rapporti di collaborazione e/o partenariato con le università che dia input alla ricerca
potenziando i loro sforzi su possibili alternative all’uso della plastica e su come poterla trasformare
per farne una risorsa e tenendo conto delle peculiarità delle singole Regioni e, nel nostro caso, della
Sicilia.
Bisogna rendere obbligatorio il ritiro dei contenitori di polistirolo delle piantine da semina da parte
delle aziende venditrici, anche perché sono già previsti degli incentivi. Si potrebbe pure, se
veramente esiste la volontà politica, imporre la sostituzione del polistirolo con la plastica che in
questo caso potrebbe essere riutilizzata sempre per il trasporto delle piantine
Inoltre bisogna far emergere le tante aziende in nero perché fino a quando rimarranno in queste
condizioni non potranno, anche volendo, neanche conferire nelle discariche autorizzate.
Infine, ma non meno importate bisogna rendere funzionante prima possibile il centro di
compostaggio di Vittoria che è stato completato da almeno un decennio e realizzarne altri in tutta
la zona trasformata.
Un ultimo aspetto da considerare è quello di facilitare l’iter per gli agricoltori che vorrebbero
rispettare le leggi. Ad oggi prima di poter spostare qualunque tipo di rifiuto agricolo per conferirlo
in discarica, bisogna registrarsi su un portale regionale. Diversamente si rischiano sanzioni
pecuniarie. Considerato che tra gli agricoltori il livello di istruzione rimane molto basso e sono poco
avvezzi all’uso di dispositivi elettronici, che non siano cellulare, facebook e whatsapp, bisognerebbe
fare in modo che la registrazione dei rifiuti avvenisse a livello locale magari attraverso le associazioni
di categoria.
Ovviamente bisogna anche attivare una politica repressiva applicando ciò che la legge già prevede
e cioè il carcere per chi crea roghi e/o interramenti. Se il personale preposto ai controlli è
insufficiente si potenzi o si proceda pure con l’ausilio di droni.
In tutti gli altri casi, legati alla non differenziazione e separazione dei rifiuti e degli scarti, la
precondizione all’applicazione della massima sanzione penale dovrebbe avvenire solo dopo che
vengono rimossi gli ostacoli oggettivi che impediscono agli agricoltori di osservare tutte le
prescrizioni. In questo caso servono discariche ad hoc, soprattutto per la plastica nera, ed incentivi
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economici da parte delle Regioni o dello Stato per attutire i costi. Ovviamente non senza un
tracciamento dei rifiuti dall’azienda di partenza fino alle discariche.
Le sanzioni monetarie dovrebbe invece essere applicate quando, anche in assenza delle
precondizioni, si riscontrano comportamenti che non trovano giustificazione alcuna come il
mancato conferimento di materiali che invece dispongono già di discariche, indipendentemente se
pubbliche o private.
In sostanza le istituzioni politiche e governative nel momento in cui invocano il rispetto delle leggi
dovrebbero favorire le rimozioni di tutte le cause ostative così da togliere ogni alibi e scusante anche
agli agricoltori un po’ più “sensibili” e comunque preoccupati per la loro salute.
Fasi del lavoro della commissione
Il lavoro si è sviluppato seguendo diverse fasi.
Intanto abbiamo scelto questo argomento, tra i diversi analizzati, perché di scottante attualità ed
essendo molti di noi figli di imprenditori agricoli volevamo meglio conoscere le dinamiche.
Subito dopo abbiamo proceduto proponendo un breve questionario in forma anonima a genitori e
parenti. In particolare chiedevamo perché si ricorre ai roghi, se erano a conoscenza delle
conseguenze sulla loro stessa salute e se avevano soluzioni da proporre, se erano coscienti delle
conseguenze penali.
Nel frattempo abbiamo iniziato a documentarci attraverso documentari ad hoc e attingendo
soprattutto dai quotidiani locali notizie utili al nostro lavoro, compresa una ricerca sulle discariche
pubbliche e private operanti in Sicilia e che non ha prodotto i risultati sperati.
Per la nostra indagine conoscitiva abbiamo nel contempo svolto una serie di audizioni con il sindaco
del comune di Vittoria, Francesco Aiello, il senatore Salvo Sallemi (che vive a Vittoria), l’Arpa di
Ragusa, il segretario generale provinciale CGIL, Peppe Scifo, esponenti dell’associazione “Terre
pulite”, alcuni componenti del Consiglio comunale, il commissario del Libero consorzio di Ragusa,
Patrizia Valenti, la Polizia provinciale, il presidente della RSS nonché sindaco di Ragusa Peppe Cassì,
il vice prefetto di Ragusa Rosanna Mallemi.
Purtroppo, per questioni di tempo, non è stato possibile coinvolgere le associazioni di categoria,
anche se abbiamo avuto modo di confrontarci direttamente con qualche agricoltore
Metodologia: studio del fenomeno, ricerca delle fonti, dibattito che ha riguardato ogni singola
decisone da prendere di volta in volta, problem risolving, lavori di gruppo, gruppi tra pari, tutoraggio
a compagni meno motivati.
Durante le audizioni raramente abbiamo preparato prima le domande perché prima abbiamo
preferito ascoltare e poi aprire il dibattito con domande sul merito in base a quello che ascoltavamo
Ogni lavoro individuale e/o di gruppo è stato riportato nel “diario di bordo”.
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Le fonti utilizzate sono state orali, scritte e digitali.
Soluzioni: eco incentivi, utilizzo obbligatorio di fili e clips biodegradabili, impiego di droni, far
emergere le aziende in nero, garantire strutture dove conferire e smaltire la plastica nera, studiare
sistemi di altri Stati e verificare se esistono alternative all’uso smisurato della plastica nelle varie fasi
del processo di produzione
Link del video del lavoro svolto (inviato anche sull'e-mail):
https://drive.google.com/file/d/1XT7rRYEHAfDzNSYMkzE5zCL0HtDJRFog/view?usp=drivesdk